LUCA MONDINI, TALENTO TRA I CAMPIONI

Culla della lirica italiana, la città di Parma ha arricchito il proprio status imponendosi come prestigioso distretto dell’agroalimentare. Ammettiamolo, dai. Se Modena ha deliziato orecchie ed occhi con rombanti capolavori di meccanica, la città ducale ha onorato il palato di italiani (e non solo), contribuendo alla fama dell’Italia del mondo. Alla faccia dei detrattori dell’ormai demonizzato carboidrato, siamo tutti cresciuti grattugiando prelibatezze emiliane su piatto di pasta, sentendoci a casa ovunque fossimo (dove c’è Barilla…), affettando insaccati o gustando biscotti e latte in un tazzone fumante. Così, magari per attenuare l’ansia prima di un’interrogazione, inforcare il motorino e correre a scuola. Erano gli anni del “latte dei campioni”, col quale si fantasticava di duellare con icone dello sport. E, visti i risultati, è plausibile che Luca Mondini, nato a Parma il 25 Febbraio 1970, ne abbia consumato in quantità industriali. Mondini difatti si impone come promessa tra i pali, pronto a dimostrare di poter ambire a palcoscenici “da campioni”. Tuttavia, la multifattorialità che determina la carriera di un calciatore fa sì che Luca arricchisca il novero di portieri che, nonostante il talento, faticano a trovare una collocazione stabile.

É risaputo che la carriera di tante stelle nascenti del calcio nostrano, in grado di brillare di luce propria, sia stata letteralmente strozzata dal talento di vere istituzioni del rettangolo verde. Ne è seguita una sorta di implosione che ha frammentato quelle stelle, dissolvendone la lucentezza lungo la Penisola e relegandole così all’ eroico, ma lontano dai riflettori, calcio di provincia. E’ il caso di Luca, che lascia la natìa Parma per approdare nel settore giovanile dell’Inter, incubatrice di talenti ansiosi di onorare San Siro e la maglia azzurra. Luca compie la trafila delle giovanili prima di approdare in prima squadra nel 1989. Sarebbe bastato un alito di vento, una piccola mano dal destino, per far sì che desse continuità alla nobile tradizione dei numeri uno nerazzurri. Ma in quegli anni la porta di San Siro è feudo inespugnabile di un “talWalter Zenga, icona della Milano nerazzurra e della Nazionale, più volte eletto miglior portiere del mondo dall’IFFHS, ed appena fregiatosi di un tricolore sovrabbondante di record.

Luca comprende, e la società meneghina, conscia del suo talento acerbo, lo spedisce a La Spezia. Seguono pertanto un biennio in Liguria ed un anno a Como, sempre da titolare. Luca dimostra un’innata sicurezza ed una non comune reattività, associata ad una congenita capacità di prevedere lo svolgimento del gioco. Qualità grazie alle quali Luca sopperisce ad un’altezza non proprio da granatiere.

Le prestazioni non passano inosservate e approda alla corte dei Fuzio nel 1993. Il suo inserimento nei ranghi biancazzurri si colloca in un programma che mira a rinverdire l’anagrafe di una rosa valida e di provata esperienza. La stagione appena conclusa si è rivelata un’esatta riproduzione della annata 1991/92, animata da un alto tasso adrenalinico e con una salvezza festeggiata quanto una promozione (o forse più?), riproponendo le consuete liturgie di prime Comunioni rinviate, malori sulle gradinate e radioline lanciate per aria.

La Fidelis Andria ai nastri di partenza della stagione 1993/94 si presenta priva del “brasileggiante” Petrachi e del letale Caruso, e poggia sull’architrave tattica dell’anno prima. In panca si siede quel galantuomo di Attilio Perotti, che saggiamente non stravolge l’ossatura della squadra, arricchendola con innesti che apportano maggiore compattezza. In Puglia giungono anche i difensori Nicola e Rossi dal Genoa, e l’esperto Giampietro dal Prato a rinforzare il pacchetto arretrato. In mediana un navigato Carillo dalla Ternana, Masolini dal Modena e Bianchi dalla Triestina garantiscono stabilità ad un centrocampo già solido. Il subitaneo successo esterno contro il Ravenna di Vieri e Francioso, grazie ad un‘inzuccata della meteora Romairone su invito di Del Vecchio e ad una serie di prodigiosi interventi di Mondini, lascia presagire un’annata lontana dai tetri parossismi dell’anno prima. Diversi successi, casalinghi e non, ed una benefica “pareggite”, tra cui lo 0-0 con la Fiorentina ed il 2-2 casalingo strappato in extremis al Verona, sono indicativi di una Fidelis più disinvolta. Ma è plausibile che quel senso di sicurezza che permea l’organico andriese tragga origine anche dai guantoni di quel portiere che, non lasciandosi impressionare da una piazza desiderosa di tranquillità immediate, irradia fiducia a tutto il pacchetto arretrato. La Fidelis si scopre più accorta, rivelando addirittura una vena corsara nei successi di Ravenna e Modena, inframmezzati dal prepotente 3-0 a Pescara. I federiciani si piazzano a 4 lunghezze dal quarto posto, rivelandosi una formazione quadrata che poco concede alle iniziative avversarie. Peraltro, lo scarso brio del reparto offensivo trasforma la Fidelis in una cooperativa del gol, con Masolini e Ripa nelle inaspettate vesti di cannonieri. La parentesi andriese, impreziosita da 38 presenze, si conclude dopo un anno. In una sorta di scambio di consegne, al suo posto giunge Beniamino Abate. Anche lui dall’Inter. Anche lui per anni all’ombra dell’Uomo Ragno. E, in una sorta di effetto domino, l’asse Milano-Genova è teatro di un avvicendamento che colloca l’Uomo Ragno a Marassi e piazza all’ombra della Madonnina Gianluca Pagliuca. Ugualmente guascone. Ugualmente, e maledettamente, talentuoso. Ugualmente, e maledettamente, titolare in maglia azzurra. E, mentre Abate e compagni non si lasciano andare a facili entusiasmi per una stagione al di sopra delle aspettative (leggi Bellotto), Luca non scende mai in campo.

Nell’estate del 1995 inizia la preparazione con l’Inter, ma la freschezza dei suoi 24 anni gli impone di cercare soluzioni per giocare con continuità. Guidolin individua in Mondini quel talento inesploso che tanto gioverebbe ad un Vicenza desideroso di affacciarsi a realtà più stimolanti. In Veneto le fortune personali coincidono con quelle dei biancorossi. Il Menti non tarda a fidarsi di quel portiere che esordisce in Serie A e sfiora una storica qualificazione in Coppa Uefa. Mondini contribuisce agli ottimi campionati del “Vicenza dei miracoli”, forte di un organico capitanato da Lopez e che include elementi di spicco quali Di Carlo, Rossi, Viviani, Maini e Bjorklund. E là davanti Murgita ed Otero, gente che dà del tu al gol. Tanto basta per rinviare di un anno l’accesso all’Europa, alzando una Coppa Italia ai danni di un Napoli ormai lontano dai fasti di matrice sudamericana.

Il biennio vicentino si conclude nel 1997, e Luca si sposta a Treviso. Ma la chiamata del Napoli è troppo invitante. Agli ordini di Ulivieri, Luca non rivela timori reverenziali nei confronti di Pino Taglialatela, icona del calcio vesuviano, e colleziona 21 presenze. L’esperienza partenopea include anche un ritorno al Degli Ulivi, nell’infuocato 2-1 che premia i federiciani al termine di gara al cardiopalmo. La carriera prosegue alla Lazio, dove Luca si fregia, seppur da comprimario, dell’accoppiata scudetto e Coppa Italia. Sampdoria, Reggiana e Cremonese le ultime esperienze significative, prima che l’anagrafe inizi ad aver la meglio su talento e motivazione.

Luca ritorna a Parma, per giocare con i Crociati Noceto. Poi è tempo di raccogliere quanto seminato in carriera, rivestendo il ruolo di affermato preparatore dei portieri a Parma, Piacenza e Sassuolo. Resta il rimpianto di averlo visto in terra pugliese una sola stagione. Un rammarico presto smorzato dalla consapevolezza che il suo talento fosse adeguato a palcoscenici più prestigiosi.

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