4 GIUGNO 1989, L’ESODO DI FANO

… e se anche posso trovar triste di dover partire proprio nel momento in cui sarei più meritevole di rimanere, m’è tuttavia di gran conforto il pensiero d’esser potuto rimanere abbastanza a lungo da giungere fino a questo punto.”.

Con queste parole Wolfgang Goethe, il grande poeta e drammaturgo tedesco, descrive il suo stato d’animo mentre si accinge a lasciare Roma. Le parole sono tratte dall’opera “Viaggio in Italia”, titolo che rimanda a quell’usanza in voga tra gli europei benestanti del Settecento desiderosi di avventurarsi nella Penisola. Quasi un rito di iniziazione che, attraverso il recupero della classicità, introduce l’animo alla bellezza, tra amenità e vestigia di un passato grandioso che per secoli hanno attratto popoli agognanti una legittimazione storica che solo la presa di Roma avrebbe garantito. In soccorso dei Romani giunge l’orografia dello Stivale, che si presta alla costruzione di centri che sorgono per ospitare più legionari che mercanti. Tra questi, Fanum Fortunae, ove le legioni romane sconfiggono il cartaginese Asdrubale, desideroso di ricongiungersi al fratello, un “tale” Annibale. La posizione strategica, tra la valle del Tevere e la Gallia Cisalpina, giova a Fanum Fortunae nel corso dei decenni, tanto da essere promossa a colonia romana. Fanum Fortunae diventa Julia Fanestris e si dota di mura di cinta che per secoli sono teatro di invasioni e liberazioni, che fanno della storia della futura Fano una miniaturizzazione di quella d’Italia. I due Angela avrebbero di che divulgare, dalle Signorie all’epoca napoleonica, fino ai due conflitti mondiali. Allorquando Fano subisce bombardamenti austriaci durante la Grande Guerra. E nella seconda guerra mondiale la matita dell’Alto Comando tedesco include Fano nella Linea Gotica. Il comune marchigiano pertanto cade suo malgrado nel mirino degli Alleati, che distruggono ponti ferroviari e stradali.

Poi, la pace. Finalmente. Niente più invasioni. Fino al 4 Giugno del 1989, quando, mentre il mondo si prepara alla caduta del muro più famoso della storia, le secolari mura fanesi assistono all’ennesima invasione. Ma pacifica. Gli invasori non giungono a bordo di camionette munite di mitragliatrici, ma su innocui e chiassosi autobus. I canti da stadio sostituiscono le marcette militari. Le trombette rimpiazzano la cupezza dei passi cadenzati dei soldati. E il verde militare è soppiantato da un binomio cromatico che colora da sempre le domeniche andriesi. Un’invasione che di cruento avrà solo il risultato, da riportare su tabellini ed almanacchi e da scolpire nella memoria degli andriesi, al loro primo vero esodo di tifo, iniziato in una mattinata in cui il sole fatica a farsi largo tra le nuvole. Piccole noie meteorologiche alle quali il tifoso andriese tuttavia non bada. Un esodo di tifo che si rivela peraltro fruttifero per gli incassi dei locali, sbalorditi innanzi ad uno spettacolo di tifo inusuale per palcoscenici di provincia.

Già, 4 Giugno 1989. A Berlino, il simbolo della divisione diarchica del globo inizia a scricchiolare, accingendosi a diventar meta di turisti più che di tedeschi agognanti il libero mercato. La longa manus del Milan dei tulipani ha già iniziato a far incetta di coppe e riconoscimenti. In un micidiale mix di samba e tango, argentini e brasiliani per una volta non bisticciano e consentono al Napoli di aggiudicarsi la Coppa UEFA facendosi beffe di futuri campioni del mondo. E l’Inter a trazione panzer colora di nerazzurro uno storico scudetto adornato di record. Pertanto, gli albi d’oro sono già aggiornati. Con buona pace di quegli andriesi divisi tra l’amore cittadino e l’esotismo pallonaro che cede al richiamo dell’asse Milano-Torino. Che Marzullo abbia tratto ispirazione proprio da loro quando ha partorito la riflessione sulle due anime che battono nello stesso cuore? O due cuori nella stessa anima? Sorvolando i cervellotici dilemmi del crepuscolare giornalista, i tifosi biancazzurri accantonano la serie A. Il San Siro assume i connotati del “Raffaele Mancini” e il rosso-nerazzurro è soppiantato da un vivace biancazzurro, che sovrasta per numero ed intensità il locale amaranto.

Sulle gradinate del Mancini sgorgano lacrime scaturite anche dal ricongiungimento con idiomi malinconicamente abbandonati per una busta paga che a sud di Roma è ancora un miraggio. Tocca ad un giovane Saverio Montingelli, i cui doveri contrattuali a stento ne limitano il trasporto emotivo da tifoso, riportare ciò che, lungi da ogni blasfemia, si rivela una sorta di Vigilia. Non riducendosi all’asettica cronologia, il giornalista andriese descrive un impaziente clima di attesa, prima premiata dal 3-1 finale e poi rinnovata negli anni, quando il suo talento ormai lo porta ad impugnare ben altri microfoni. Qualche ora dopo la Fidelis Andria, guidata da mister Soldo, chiude da vincente a 48 punti un campionato di C2, sfornando una partita di cui il meteo, non proprio benevolo alla partenza da Andria, pare presagirne l’andamento. Il vantaggio dei marchigiani ad opera di Boccia, che fa le veci dello spauracchio locale Minuti, rannuvola la gara dei pugliesi. Poi gli undici di mister Soldo decidono che il sole debba splendere anche in campo. La prepotente replica si concretizza con Vinci, cecchino infallibile dal dischetto. Poi Tomba attinge dal suo repertorio una “palomita” vincente, capitalizzando un assist di Carpineta. E infine Mastini pennella l’ennesima chirurgica traiettoria. Gli andriesi, scavalcata la paura, scavalcano poi i recinti, animando i consueti rituali dei finali di stagione. Un 3-1 che chiude la trasferta fanese, che rispecchia la stagione degli andriesi. L’avvicendamento in panchina, con Soldo che subentra a mister Volpi, e qualche battuta d’arresto paiono allontanare una promozione che passa anche da Foggia, Trani e Bisceglie, rinnovando antichi campanilismi, di cui il calcio è fecondo generatore e goliardica trascrizione sportiva. In uno stadio ancora privo di curve, le illuminazioni di Mastini, l’esperienza di Tomba, la prolificità di Vinci, la tenacia di Argentieri, l’abnegazione di Quaranta si aggregano in una chimica letale per gli avversari. E, soprattutto, riassumono lo spirito di una squadra, che ha in Martiradonna l’emblema del calciatore il cui amor di maglia è corroborato da quello per i propri natali. La seconda promozione, dopo quella del 1984, premia la sua professionalità di cui beneficia una Fidelis ansiosa di consolidare il distacco da una dimensione semi-dilettantistica. Un distacco al quale contribuisce Angelo Carpineta, ormai avviato a diventare pilastro della storia biancazzurra. Il suo record di presenze e gol, maturato nella permanenza all’ombra dei Tre Campanili, è valorizzato da questa promozione, che attinge la sua origine da un organico che annovera Del Zotti, Colasanto, Papa, Salmi. Ed ancora Merli, Galluzzo, Turi, Mancone e Scolamacchia. Elementi di sicura affidabilità, che non esitano a ricorrere, quando necessario, al carattere più che alle pur notevoli risorse tecniche ed atletiche.

La promozione è sancita solo all’ultima giornata, grazie anche agli scontri diretti su Ternana e Chieti, appaiate anch’esse a 48 punti. Già, Ternana e Chieti. “Tè vòit nu pèkk…”. Quasi che gli Dei del calcio si divertano a inviare segnali premonitori. La promozione matura pertanto anche grazie agli scontri diretti con le due antagoniste. Circostanza che valorizza il contributo di ogni singolo elemento della rosa, incluso chi non rientra tra gli undici titolari. Contributi apparentemente ridimensionati dalle fredde ed ingrate statistiche, che non riconoscono in maniera legittima ogni fuorigioco andato a buon fine, ogni recupero, ogni tackle ad opera di chi entra a gara in corso. Ma il tifoso andriese soprassiede alle scelte tecniche. Sorvola sui numeri. Apprezza. E soprattutto ricorda, riconoscendone i meriti, Francabandiera, Strippoli, Da Re che godranno del giusto tributo dei tifosi federiciani, ormai proiettati verso nuovi orizzonti, calcistici e non.

A fine anni Ottanta si delineano difatti nuove prospettive, che trasformano Andria da centro prevalentemente agricolo in un florido centro manifatturiero, introducendola in un circuito economico e calcistico che richiede nuovi sforzi e nuove aspettative. Puntualmente soddisfatte da una storia che si ripeterà nel decennio successivo con egual trasporto e ancor più metodica programmazione. La famiglia Fuzio, in linea con la tradizione che impone presidenti concittadini, a due anni dalla nascita del sodalizio sportivo, raccoglie i primi frutti di un’attenta gestione societaria, corroborando la crescita della comunità andriese, i cui successi calcistici ne sono la parafrasi sportiva. È l’inizio di una scalata verso altri traguardi che, seppur inconsapevolmente, gettano il seme di future nostalgie. Le quali, unitamente alle recenti difficoltà del calcio cittadino, induriranno negli anni il tifoso andriese, non minandone tuttavia l’entusiasmo. Quasi a voler mettere in pratica le parole di un medico argentino che, preferendo la via della Rivoluzione permanente ad una vita da agiato borghese, soleva ripetere “La durezza di questi tempi non ci deve far perdere la tenerezza dei nostri cuori”. Già. Non perdere la tenerezza dei nostri cuori. E, magari, captare qualche segnale. Forse premonitore. Chissà…

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