CIOB HA FATT U JANDR: LA STAGIONE 2018/19

In ogni storia che si vuole raccontare, come nel pallone, spesso ed oramai da tempo si preferisce il palmarès, il risultato quando un torneo termina, quando un filotto si compie, quando una partita si chiude. Ma il racconto merita, dal punto di vista di chi lo produce, una completezza che rende utile la comprensione della storia. Raccontare con dettagli, anche complessi.

La stagione della Fidelis Andria appena conclusa parte dalla fretta estiva sino alla possibilità sfumata di giocarsela ai play-off. Noi aprimmo la stagione augurandoci non tanto i risultati ma il fatto di riprendersi la voglia di ritornare, ritornare dove si merita o meglio dove la nostra gioia pallonara possa compiersi. Tutto questo è successo?

Sembrerebbe proprio di si, dopo tre anni vissuti tra bugie, sciagure societarie ed illusioni è chiaro che la cosiddetta piazza si proponeva, nella speranza e fretta estiva, in maniera timida nei confronti della nuova ed ennesima “era” biancoazzurra. Un gruppo di imprenditori ed intermediari hanno messo su un quadro societario e tecnico che hanno portato la Fidelis ad iscriversi e a presentarsi ai nastri di partenza del campionato di Serie D.

La scelta del tecnico e di qualche giocatore, almeno a noi, ci sembrò azzeccata dal punto di vista della filosofia calcistica che si portava dietro mister Alessandro Potenza e che abbiamo raccontato ampiamente quando lo abbiamo incontrato e non solo. Filosofia che distribuiva il valore tecnico di ogni singolo componente assieme a quella di squadra: si è intravisto sin da l’esordio in Coppa Italia un’idea chiara di gioco che doveva portare pazienza nel compiersi durante la stagione. La squadra e la società hanno lavorato nonostante tutti gli alibi estivi e tutto il tempo necessario affinché la squadra quadrasse il cerchio. Tant’è che l’inizio del campionato non è stato dei migliori, ma la pazienza della piazza ha tenuto in piedi il progetto che forse in qualche occasione ha subito delle scosse negative seppur non comprovate.

La partita in casa con il Picerno, che poi ha vinto il campionato, divenne lo spartiacque di una stagione che ci ha visto sempre lì, in lotta per un obiettivo che noiosamente ripetiamo non era né preventivabile e nemmeno scritto sulla lavagna delle cose da fare. Si voleva la salvezza. Poi un filotto che ci ha spinti nella bagarre dei play-off. Diventiamo una squadra riconoscibilissima, 3-4-3 e suoi derivati, palla a terra e profondità: forse, non solo a detta nostra, il miglior calcio espresso sul campo dell’intero girone.

Ora la domanda sarebbe, abbiamo ottenuto di più di quel che potevamo o è andata diversamente? D’istinto verrebbe da dire che con una preparazione che forse ha determinato una serie di infortuni, soprattutto muscolari, ci avrebbe presentato al meglio alcuni calciatori che si sono rivelati quando sono scesi in campo, a dir poco decisivi. Un esempio su tutti è Ivan Bozic, il comandante slavo, quando è sceso in campo ha prodotto con la sua fisicità e con la sua leadership tecnica punti e prestazioni per la Fidelis. Ma ci aspettavamo gli undici gol di Mati Cristaldi? Carro armato argentino di forza e piede sudamericano. I due sono la storia della fase offensiva della Fidelis che ha avuto, numeri alla mano, difficoltà numeriche ma mole di occasioni non sfruttate non di poco conto. Hanno partecipato tutti alla festa del gol, non solo gli attaccanti: gli inserimenti di Bortoletti, le capocciate di Iannini e Piperis e una decina di reti arrivate dalle retrovie. Difensori, con il giovane Capitano Cipolletta, che portano in grembo il merito della miglior difesa del girone, se si esclude la débâcle di Altamura, capisaldi di una fase difensiva spettacolare che racchiudeva in sé la filosofia del tenere la palla come prima mossa nel difendersi.

Quindi fase offensiva e fase difensiva che funzionano, nei risultati non allo stesso modo, ma che sono assolutamente coerenti con la filosofia che il mister ha impiantato nel DNA della squadra. Chiaro che durante la stagione, dopo i tredici risultati utili consecutivi che hanno consolidato la forza della squadra parallelamente gli avversari prendendoci “sul serio” ci affrontavano sul campo con contromisure che fino a quel punto non erano previste. Una sorta di blasone conquistato sul campo, associato al blasone della nostra storia. È proprio questo che dà la sensazione che quello che ci auguravamo ad inizio stagione si sia compiuto e che in sostanza va conservato e preservato per il futuro.

Appunto il futuro. Non sappiamo, a parte annunci positivi ed inequivocabili legati anche al rinnovo del mister Potenza cosa ci aspetterà nella prossima stagione. Ci verrebbe da dire che un’estate più tranquilla rispetto alla scorsa sarebbe il minimo. Possiamo nel nostro piccolo di certo augurarci una programmazione che nel silenzio, forse, del finale di stagione appena terminata pare ci sia stata ed ancora in corso e che sicuramente alzare l’asticella degli obiettivi in campionato che nella prossima stagione che si sta profilando presenterà un girone molto più complicato o almeno complicato quanto quello appena terminato sarà necessario e speriamo sostenibile.

Da tutto ciò è chiaro che per ripartire e proseguire sulla strada tracciata servono punti fermi negli uomini che vanno in campo, di chi amministra la società e di chi come un direttore sportivo scelga e valuti i calciatori assieme a Potenza. Nomi non se ne fanno, rumors ci sono eccome, ma il punto fermo fondamentale è la filosofia che ha costruito questo percorso. Scelta di calciatori funzionali, gruppo coeso e idee chiare di quello che si vuole portare sul campo. Perché è vero che gli stadi si riempiono solitamente se si vince, ma la gente la si riavvicina con la serietà e verità sui programmi ma soprattutto su quello che la domenica si vede sul campo: bel gioco – ma su questo possiamo dire che sia altamente soggettivo – e gamba, senza mollare mai.

Insomma una stagione che ha messo le basi per qualcosa di più grande, qualcosa di potenzialmente nuovo e positivo per la nostra piazza che dal 1997 ha cambiato ogni anno guida tecnica. Un sogno di continuità che vorremmo ancora raccontare, a modo nostro. Sempre la stessa filosofia.

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