Il mister arriva puntuale, “Stan Smith” ai piedi e zainetto sulle spalle. Pronto alla chiacchierata nonostante il raffreddore. Subito a suo agio si parla di calcio, ed è un fiume in piena. Meraviglioso.
Bisogna cominciare pur da qualcosa, sicuramente dalla notizia che tutti volevamo sentire compreso lui: “Assolutamente contento per il rinnovo, la verità è che non me l’aspettavo, almeno non così presto, forse più in primavera; come nessuno si aspettava le prestazioni della squadra su questi livelli visto l’inizio della preparazione al campionato in ritardo. La società ha preso una posizione ed una scelta, è questo per me è sintomatico”.
Il rinnovo del mister da Apricena segna la voglia della società di costruire un progetto. Non è un rinnovo “politico” che serve a rasserenare l’ambiente che, forse più che volerlo, lo sperava. Il senso è proprio quello di continuare a costruire il futuro assieme al presente: “Se hai un botto di soldi non hai problemi, invece noi, la società, dobbiamo muoverci in tempo, con correttezza come per esempio ha fatto il Picerno che sta infastidendo l’armata Cerignola”. Traducendo il “Potenza pensiero” ad una società come la Fidelis, che dalla sua ha il blasone, non servono tanti soldi ma solo tempestività, arrivare prima di tutti sui calciatori. Programmare, studiare e prevedere, il tutto si traduce in competenza che etimologicamente deriva da “competere”.
È attorno a questo sostantivo che la chiacchierata, con birra da contorno, si snocciola. Ed a proposito di scelte, si parla di un ruolo che ad ogni tifoso interessa più di tutti, l’attaccante, colui che fa sognare: “Mati Cristaldi ad esempio, l’ho notato quando allenavo il Madrepietra, ci ho giocato due volte contro. Quando arrivò qui ad Andria molti addetti ai lavori non nascondevano di certo le loro perplessità, vista anche la difficile annata precedente”. Invece, nonostante l’infortunio che ha stoppato la sua stagione, è diventato un giocatore fondamentale ed apprezzato dal pubblico ma il Mister sottolinea: “Lui è l’esempio di come deve essere un calciatore che voglio allenare. Non basta il curriculum o solo i gol. Il calciatore dev’essere funzionale al progetto tecnico e tattico che ho in mente, ci sono dei parametri di cui non posso fare a meno. Così si costruiscono anche plusvalenze sul mercato che di certo male non fanno, anzi”. Questo significa progettare, avere in mente quello che si vuole costruire nell’immediato e per il futuro.
Da un po’ di tempo, addetti ai lavori sostengono, e non senza prove, che l’intero ambiente ha subito una crescita dal punto di vista della maturità sportiva. Più pazienza, più voglia di calcio che di promesse ed annunci, ad esempio sull’inizio di campionato difficoltoso. “Guarda, è vero, ma la vera prova di maturità è stata dopo la brutta sconfitta di Gravina dopo dodici risultati utili consecutivi. Nonostante le mille attenuanti, episodi, infortuni e sfortuna. In quel periodo il progetto ha subito uno stop, questa squadra senza infortuni può fare benissimo. Profilo basso e lavorare. I tifosi vogliono divertirsi e vincere, ed è giusto e sacrosanto”. Insomma avere obiettivi chiari, visione e competenza sono la strada per ottenere risultati. Il punto è quello, ribadito ancora.
Si accende una sigaretta, pausa, e continua: “Costruire, progettare e dare una fisionomia alla società. Con cosa? Con una continuità ideologica. Una dottrina calcistica propria. Sono ambizioso non lo nascondo, un giorno andrò via da Andria, e nel caso ci dovrà essere una dottrina tecnica con qualsiasi altro allenatore, organizzativa e societaria basata sulla competenza che ti permette di rimanere in piedi e soprattutto raggiungere gli obiettivi prefissati. Lo scouting e lo staff societario sono fondamentali. La società è molto più organizzata ora di quanto lo eravamo qualche mese fa”.
Per strada, sui social, nei bar si parla tanto del bel gioco espresso dalla Fidelis Andria, come è lampante che ci sia un’idea tecnica e tattica sul quello che si vuol mettere sul prato verde e nonostante il “bel gioco”, in un paese che ha tanti abitanti quanti allenatori spesso il giudizio è soggettivo: “Esistono tanti modi di giocare, come esistono diversi tipi di bel gioco. Può piacere il modello Barcellona, può piacere il gioco di Gian Piero Gasperini: tutto è soggettivo”. Il nome dell’allenatore dell’Atalanta esce all’improvviso quando si mette l’accento sull’importanza di Ivan Bozic nel far crescere la squadra e secondo noi impegnato dal Mister come faceva Gasp con Andrea Petagna qualche anno fa: “Bozic è un leader tecnico, un uomo positivo all’interno dello spogliatoio. Potrebbe spostare gli equilibri e dare quel qualcosa in più alla squadra. Ed è vero, ha fatto e fa gli stessi movimenti che faceva l’attuale attaccante del Spal. Riesce a portarsi dietro due, tre avversari e liberare spazi per i compagni”. Il gioco di Gasperini può definirsi bello? “Forse, è un gioco dispendioso, uno contro uno. Calciatori che corrono coprendo tutto il campo con un’intensità inaudita. Con gli stessi calciatori in questi anni l’Atalanta con un altro allenatore non avrebbe fatto gli stessi risultati”. Ecco il primo aneddoto: “Senza esagerare, in una partita abbiamo fatto molto peggio – sorride – di come si comportano le squadre di Gasperini. Un uno contro uno a tutto campo. Contro l’Altamura una squadra forte, esperta e tatticamente elevata a cui non abbiamo permesso di ragionare. Quelle partite dove esiste un equilibrio che si rompe solo con un episodio. In quell’occasione abbiamo dato prova che possiamo lavorarci su questo modo di interpretare la partita”.
Il Mister per quanto affascinato dagli integralismi tattici, ritiene a volte questo un limite, o meglio ci sono situazioni in cui devi adattarti alla materia prima che hai a disposizione e ad altre sfaccettature che compongono la squadra, confrontarti con il tuo staff. Sul fronte integralista del calcio si affaccia un suo maestro, o meglio la sua ispirazione, Roberto De Zerbi. “Il migliore allenatore attualmente in Italia, per idee e preparazione. Un integralista. Farà una grossa carriera, uno che allena da cinque anni e da due è già in Serie A non è un caso. Anche se il primo a dirmi che avrei potuto fare l’allenatore fu Vincenzo Montella quando giocavo al Catania. E qui una perla del Mister: “Sai, alcuni calciatori sono senza pressioni, vivono di talento e di certezze sulla loro presenza in campo la domenica da titolari. Io non dormivo quando dovevo affrontare uno alla Papu Gomez o alla Lorenzo Insigne anche se sono stato sempre eccellente dal punto di vista tattico. Ho subito un solo gol in carriera quando marcavo sul secondo palo”. Chiaro, il talento fa dormire sonni tranquilli.
A proposito di giovani da far emergere nel nome della continuità del talento italico si apre la chiacchierata sulla regola degli under, regola discutibile e discussa: “E’ una brutta regola, mette in difficoltà gli allenatori, mette in vantaggio le squadre con più contatti con i vivai delle società professionistiche di fascia alta rispetto a chi non ne possiede. Ma la cosa più grave è che il sistema genera false aspettative, false speranze e spesso molti calciatori smettono completamente di giocare. La verità è che un under deve giocare perché è forte, come i nostri Enzo Zingaro e Mirko Bortoletti. I miei under non sono under. Ma il sistema come ti dicevo crea delle storture comunque”. Quindi vien da pensare a quanto la Fidelis quest’anno sia giovane e che giochi con più under di quanti le regole minime prevedono e su quale obiettivo è possibile raggiungere a fine stagione: “Nonostante la giovane età della squadra, al lavoro ed al basso profilo avuto da inizio stagione, ad oggi posso dire che la squadra senza altri stop per infortuni si giocherà sino alla fine i play-off. La squadra è giovane e deve imparare e gestire i momenti dentro e fuori dal campo e crescere in consapevolezza. Siamo sulla strada giusta, ad esempio quando Gaetano Iannini si è infortunato abbiamo perso un giocatore importantissimo per noi e quel giorno nello spogliatoio sembrava di vivere un funerale. Poi siamo cresciuti, come il secondo tempo a Cerignola dopo la prima frazione in cui ci tremavano le gambe. Quel secondo tempo fu incredibile, chiesi ai miei calciatori – e qui altro aneddoto e risate – che volevo sentire un rumore, il “pfff” della palla che si sgonfia dopo un contrasto duro. Feci ripetere nello spogliatoio quel suono, ad alta voce da tutti i ragazzi. Volevo aggressività senza paura. Li mettemmo in difficoltà e forse con qualche scelta in più in panchina quella partita l’avremmo portata a casa”. E quindi ecco una delle sorprese, secondo noi della stagione, proprio il sostituto di Capitan Iannini sul quale ammette: “Michele Piperis mi ha portato a cambiare il progetto tecnico perché di certo una delle caratteristiche sue non è il palleggio. Io voglio avere la palla semplicemente perché così non ce l’hanno gli avversari, di conseguenza hanno meno possibilità di farci gol, ecco perché la miglior difesa. Non è un caso. Michele è migliorato tanto ed in maniera eclatante sennò fidatevi non avrebbe giocato. Non sono un masochista, gioca chi è forte, chi è più in palla. Io ho l’obbligo di fare punti. La sua consapevolezza – di Piperis – come quella della squadra sta crescendo e la partita di Nardò da quel punto di vista è stata la migliore”. Infatti abbiamo avuto l’impressione che in campo ci fosse la migliore squadra del torneo, una vittoria da capolista. Il mister annuisce.
Una piccola pausa, si sgranocchia qualche patatina e si vira sul passato, sul giovane calciatore Alessandro Potenza: “Sono partito dalle giovanili del Foggia per poi fare una piccola esperienza all’estero con il West Ham per poi a 17 anni approdare a Milano, sponda nerazzurra. Lì stava nascendo un grande settore giovanile con la regia di Piero Ausilio. L’ultimo anno ero in stanza con Obafemi Martins. Che giocatore. Una scheggia, ma era tanto veloce quanto timido. Non diceva una parola. Una volta in una partitella infrasettimanale Hector Cuper sospese l’amichevole perché dopo 40 minuti eravamo in vantaggio per 2-0 contro Ronaldo e Vieri. Martins fece impazzire Materazzi che lo scaraventò a terra un bel pò di volte. Eravamo fortissimi, con Martins in avanti c’era Goran Pandev, poi Nicola Beati talentuosissimo e sfortunato regista. Quell’anno vincemmo campionato, coppa Italia e torneo di Viareggio”.
Si parla sempre di giovani e futuro, soprattutto dopo la disfatta della Nazionale di Calcio per la mancata qualificazione ai mondiali. Il Mister nel 2004 ha fatto parte dell’ultimo Europeo Under 21 vinto dall’Italia e dopo due anni cinque componenti di quella squadra diventarono campioni del mondo in Germania nel 2006: “Non lo so se eravamo più bravi ma tieni conto che ero l’unico diciannovenne nella rosa azzurra, quindi il più giovane, che già giocava in Serie A, l’altro era Alberto Aquilani che fece una grande stagione in Serie B con la Triestina”. Poi Fiorentina e Catania le tappe migliori della sua carriera dove, proprio ai piedi dell’Etna, a detta sua, ha giocato con il calciatore più forte, il “Pitu” Pablo Barrientos: “Un calciatore straordinario, con una tecnica sopraffina, vedeva quello che noi umani non riuscivamo a percepire. Spazi e passaggi improbabili. Ma aveva il corpo di cristallo, troppo fragile. Un altro fu Adrian Mutu, fortissimo e dimostrò anche di esserlo sul campo. Dai anche Mimmo Morfeo, che genio”. Poi quelle strana esperienza all’estero, dall’altra parte del mondo in India:“Un’esperienza incredibile dal punto di vista professionale, fui portato lì da Marco Materazzi che ci allenava. Dal punto di vista umano fu molto complicato con vita sociale ridotta ai minimi termini per problemi di sicurezza. Fuori era dura e le differenze sociali erano troppo evidenti. Troppa povertà. Il campionato durava solo 4 mesi ed era organizzato benissimo, sul modello della Champions League: alla fine vincemmo noi”.
Il tempo vola, per chi ama il calcio non è sprecato, un amore infinito. Giocatori, storie, tattiche, aneddoti e qualche storiella che non si può proprio raccontare. Del Mister Alessandro Potenza, ne esce fuori un ritratto preciso. Uomo semplice ma ambizioso, sempre alla ricerca della competenza perfetta. Parola che è riecheggiata per tutta la chiacchierata come simbolo e prova di un modo di fare che conosce solo lavoro e preparazione. Nulla al caso.
Si è parlato del presente e del futuro della Fidelis Andria e del lavoro che si sta facendo e che si sta impostando. Non ci resta che godercelo.
Cofondatore del blog . Mi innamorai del calcio una sera del 20 Maggio 1992. Appassionato di sport, delle sue storie e soprattutto del pretesto con cui lo si usa per parlare di qualsiasi cosa. Ma faccio tutt’altro nella vita.