OBERDAN BIAGIONI, IL DIECI

Miraggio ed ossessione degli sgobboni, il 10 è il voto massimo ottenibile in compiti, interrogazioni e pagelle. Scomodando la filosofia, e nella fattispecie Pitagora, si scopre che il dieci, fondamentale nella numerazione comunemente utilizzata, sia il numero perfetto, essendo la somma dei primi quattro numeri e sintetizzando così i quattro principi cosmogonici. Nel calcio poi, la letteratura si spreca sui numeri dieci che hanno acceso le fantasie di generazioni. Erre mosce al servizio di un Avvocato prodigo di appellativi artistici, codini riccioluti, staffette rossonerazzurre in terra messicana e “mano de diòs” che beffano chi ha scippato quattro scogli nell’Atlantico.

Il Sudamerica poi è teatro dell’annoso bisticcio tra due superpotenze calcistiche che hanno udito i vagiti, anche e soprattutto calcistici, dei papabili migliori di sempre. Peraltro, in Italia l’esaltazione del numero dieci è frutto dell’approccio difensivista del “catenaccio” nostrano, che bada a non prendere un gol piuttosto che a segnarne uno in più rendendo così inevitabile affidarsi traiettorie dalla perfezione mistica e invenzioni fuori dalla norma per sbloccare una partita.

Come per la filosofia, non è facile individuare l’anagrafe del numero dieci, ossia il momento storico in cui si delinea la sua morfologia tattica. E, come il dieci che racchiude i quattro principi universali, Oberdan Biagioni racchiude tutto ciò che un fantasista dovrebbe essere.

Centrocampista di vocazione offensiva ed esteta del calcio piazzato, Biagioni nasce a Roma il 19 Ottobre 1967. Cresce nella Romulea prima di approdare nel vivaio laziale. Vince il campionato Primavera nel 1987 ed esordisce in cadetteria. E’ prelevato dal Monopoli per la stagione 1988-1989. Due stagioni in C1 condite da 51 presenze e sei reti che valgono il ritorno in serie cadetta nelle fila del Cosenza. Coi lupi della Sila consegue da protagonista una salvezza seguita dalla mancata storica promozione in Serie A.

Un buon biglietto da visita per l’ingresso nel magico mondo di Zemanlandia che nella stagione 1991-1992 sorprende grazie ad un gioco a trazione anteriore. Un inedito fragore mediatico coinvolge lo Zaccheria ed alimenta le mire delle grandi sui gioielli foggiani. Casillo medita di attuare uno smantellamento da 50 miliardi di lire che non risparmierebbe nemmeno i comprimari. Il diesse Pavone capisce l’antifona ed assembla un organico incardinato su elementi prelevati dalle serie minori. Allo Zaccheria giungono Di Biagio dal Monza, Bresciani dal Palermo, Seno dal Como, Sciacca dal Trapani e Biagioni dal Cosenza. Biagioni è l’uomo ovunque del fronte offensivo rossonero, che fornisce la riprova che il Foggia, seppur privato del trio Rambaudi-Signori-Baiano, sia ancora in grado di indurre anche avversari titolati a più miti propositi. Zemanlandia continua a regalare emozioni tali da poterci costruire una serie tv. Ciononostante si trasferisce, chissà perché, all’Udinese: 14 gettoni non evitano l’ennesimo capitolo dello stancante andirivieni dei friulani tra serie A e serie cadetta, cui solo l’arrivo di Zaccheroni qualche anno dopo porrà fine. La stagione seguente Oberdan torna al Foggia, allenato dal compianto Catuzzi. Ma il campionato si conclude con una retrocessione in Serie B. Si congeda dalla massima serie, fissando il ruolino a 60 presenze condite da 8 gol. A novembre del 1995 si accasa alla Pistoiese. In Toscana 4 gol in 23 partite non evitano la retrocessione in C1. Biagioni torna mestamente a Foggia, quasi la città pugliese fosse il baricentro delle sue speranze, dove trovare rifugio da un calcio irriguardoso verso il suo talento. Ma l’ultima puntata di Zemanlandia è già andata in onda. Qualche scampolo di partita e a dicembre Biagioni scende in C1. Ed un’ottantina di chilometri più a Sud. Un compromesso necessario per ritrovare la vena dei tempi migliori. Ma d’altro canto è proprio vero che i campioni si riconoscono dalla capacità di reinventarsi.

Alle pendici del Castel del Monte inizia la favola dell’Oberdan andriese. Forse la più bella. La sua presenza sposta gli equilibri nello scacchiere pugliese, senza snaturarne l’essenza. Anzi, apportando un’edulcorante linfa vitale. E si sposta pure l’accento. Oberdan, nome da patriota che nell’andriese rievoca deamicisiani gessetti e lavagne in Viale Roma, si trasforma in Oberdànn. Una metamorfosi anagrafica che non intacca il suo genoma calcistico. Oberdànn brilla in una Fidelis Andria che pare una rassegna di foto segnaletiche. Barbacce sui volti da B-movies polizieschi, orecchini e zazzere scapestrate. La vaga somiglianza col “Ras” di Maranello Jean Todt non attenua le sue sembianze anarcoidi che stridono con l’aristocratico bagliore delle sue giocate. L’atto di Giulianova ripropone l’epico revival andato in scena otto anni prima e qualche chilometro più a nord. Come se il ricordo fosse solo una porta da schiudere.

La porta si schiude eccome, materializzando nostalgie anche grazie alle magistrali invenzioni di Oberdànn, che converte le sue potenzialità in atti di antologia calcistica. La successiva stagione è autore di 15 reti in 36 gare. Memorabile il rigore del 3-2 con cui gela un Granillo infuocato, cui si aggiungono lo “sgarbo” alla Lazio in Coppa Italia e soprattutto la memorabile pennellata al Castel Di Sangro. A fine stagione passa al Brescia ed alla seconda giornata incrocia il suo recente passato, il più bello, in un opaco 0-0 che prefigura la nefasta stagione dei pugliesi. Biagioni gioca 23 partite e poi ritorna a Cosenza in Serie B. Crotone, Giulianova  e Tivoli le ultime tappe prima di intraprendere la carriera di allenatore. Un percorso che prevede un ritorno ad Andria, dettato da chissà quali valutazioni, che accendono nella piazza fantasie generate dall’irrazionale augurio che le magie in campo si convertano in saggezza tattica. Appare subito evidente che Biagioni voglia riconfigurare gli scenari tattici vissuti allo Zaccheria. Ma la LegaPro non è la serie A del 1993 e il suo credo calcistico, di chiara derivazione zemaniana, mal si sposa con la scorbutica LegaPro, più incline all’essenzialità che alla spettacolarizzazione. E quel “tira-la-bomba-BiagioBiaggiò”, che scherzosamente accompagna i calci piazzati a favore degli andriesi nonostante Oberdan sieda in panca, è solo un omaggio ai suoi trascorsi biancazzurri. Un giocoso ritornello che, come fragile fogliame d’autunno, mestamente ammanta il malcelato malessere tutto andriese legato all’irrecuperabilità di epici periodi e sul quale sia bene cantarci su. Oberdan è sollevato anzitempo dall’incarico e pone fine al dittico andriese. Resta il ricordo del fantasista migliore mai visto ad Andria, che rende leciti paragoni, con le obbligate proporzioni, con quanto accadde a Napoli negli anni Ottanta. Con la similarità che partenopei e federiciani non abbiano più rivisto giocatori simili negli anni successivi.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *