FERNANDO ARGENTIERI, LA RUDEZZA DELLA NOBILTA’

Ospite d’onore alla giornata d’accoglienza alle matricole in un ateneo pugliese, Emilio Solfrizzi ha scherzato su un suo errore di valutazione, quando anni fa volse lo sguardo lontano dalla terra natìa, convinto che la sua carriera dovesse sganciarsi da una pur brillante dimensione regionale. Scelta rivelatasi azzeccata, salvo poi scherzosamente pentirsi quando si è registrata un’impennata di film ed eventi artistici ambientati in Puglia. Un’autentica corsa all’oro. Ma ad attendere i professionisti della macchina da presa non c’era il luccicante metallo, bensì castelli e cattedrali di pietra bianca dai profili che si stagliano superbi in cieli vellutati d’azzurro. Uno dei fautori della corsa al Klondike di terra rossa e ulivi secolari è stato Sergio Rubini.

Nel novero delle località in cui l’attore ha diretto i suoi film rientra la cittadina di Mesagne. Pietra bianca sulla quale il sole di Puglia si riversa virulento. Vicoli in cui cercare un po’ di fresco, fuggendo da piazze vere voragini di luce. È sufficiente addentrarsi fra le viuzze del centro storico, dalla forma a cuore, per comprendere il perché dell’attenzione verso la cittadina situata lungo l’Appia Antica. Attenzione riconducibile alle tracce del barocco che fanno di Mesagne la regina del barocco brindisino. Primato che forse dovrà spartirsi ex aequo con Ostuni, dando luogo all’ennesimo bisticcio di piazza, vero lievito del campanilismo congenito al carattere italico.

Non è difficile immaginare Fernando Argentieri tirare i primi calci tra quei vicoli, rispettando il tradizionale percorso di un calciatore, che parte dalla strada o oratorio e passa per società calcistiche locali e confidando nell’agognato salto nel professionismo. Salto che nel caso di Fernando ha esito felice e contempla tappe quali Mesagne, Grottaglie, Brindisi, Martina Franca, Andria e Monopoli. Un percorso iniziato nella stagione 1979/80, in cui esordisce nel Mesagne sulla cui panchina siede il compianto Roberto Potì, monumento del calcio mesagnese ed artefice della storica promozione del Mesagne in serie D. Fernando si distingue come valido difensore a Grottaglie, Brindisi (una promozione da protagonista in C1) e Martina Franca, non prima di essere stato il rampollo del calcio mesagnese, calamitando le attenzioni di serie A e B, poi conclusesi con un nulla di fatto.

Lasciandosi andare ai congeniti egoismi da tifoso, piace pensare che quel nulla di fatto abbia giovato alle sorti della Fidelis. L’egoismo trova giustificazione nelle promozioni del 1989 e 1992 alle quali Fernando contribuisce quanto i nomi riportati sul tabellino dei marcatori. Il calcio purtroppo è malato di antipatica ingratitudine per coloro che difendono un risultato deciso da calciatori ai quali Madre Natura ha generosamente dispensato piedi fatati o cattiveria sotto porta.

Troppo scontato ricordarsi delle traiettorie chirurgiche di Mastini, delle palomite di Tomba, dei dribbling ad elevato tasso alcolemico di Petrachi o del cecchino Insanguine. E altrettanto facile dimenticarsi di chi protegge quel risultato. Magari quando là davanti il debito d’ossigeno annebbia la lucidità e rallenta la lancetta verso il 90esimo. E poi, troppo facile relegare nella nebbia dei tempi quelle Fidelis targate Pirazzini, Volpi, Soldo e Vannini. Ossia coloro che consolidarono il distacco da un profilo simil-dilettantistico, ponendo i prodromi per gli anni successivi. Troppo comodo godere della bellezza di un monumento senza analizzarne le fondamenta. E quelle Fidelis costituirono quelle fondamenta. Ma oggi forse sono private dell’adeguata legittimazione storica, specie nella memoria dei giovani.

In quegli anni formativi per il calcio andriese, Argentieri si rivela un elemento di sicura affidabilità e temperamento, consolidando la fama di risoluto cerbero della retroguardia andriese. Anni in cui affina l’acume tattico con cui padroneggiare le malizie tipiche di una serie C scorbutica, in cui ruzzoloni e scarpate non commuovono i direttori di gara.

Argentieri giunge dal Martina alla corte dei Fuzio nell’estate del 1988. Seguono due memorabili promozioni e 135 presenze, condite da 4 reti. La prima giunge agli ordini di mister Soldo, 26 presenze ed una rete nel successo casalingo contro il Jesi, contributo di Argentieri prima dell’atto finale nell’euforica cornice di Fano. La stagione successiva siede in panchina quel galantuomo di Franco Vannini, agli ordini del quale Argentieri colleziona 26 presenze utili per conseguimento della salvezza che funge da rodaggio per ciò che si concretizzerà due anni dopo.

Nella stagione 1990/91 una matura Fidelis si presenta ai nastri di partenza ancora con Vannini, che guida i federiciani verso un onorevolissimo quarto posto. Argentieri raccoglie 31 presenze ed una rete decisiva nel successo esterno contro la Puteolana.
Ma ormai il grande salto ha preso forma nello spirito degli andriesi. L’ambiente smania. La dirigenza percepisce. Nel connubio di volontà popolare e organizzazione societaria (avercene, di ‘sti tempi…), la campagna acquisti del 1991 rinverdisce l’anagrafe di una rosa di provata esperienza, ma necessitante di una ventata di giovinezza. Mister Russo, subentrante a Vannini, è decisivo per la conversione delle potenzialità della corazzata biancazzurra nell’atto epico della promozione, alla quale Argentieri contribuisce con 26 presenze e 2 reti, distribuite tra il 2-2 di Fano e la sassata (alla Matthäus, se permettete..) nella débâcle catanese che per una settimana ripropone ancestrali paure di sogni tramutatisi in chimere. Tanto basta per riservargli un posto nella “Hall of Fame” biancazzurra (a proposito, dove farla?).

Dopo l’esperienza biancazzurra approda a Monopoli e conclude la carriera a Martina Franca, in tempo per arricchire il suo palmarès con una vittoria nel campionato di Eccellenza 1995/96. In seguito si dedica a trasmettere la sua esperienza ai giovani, ai quali impartire gli insegnamenti ricevuti dagli allenatori nei quali si è imbattuto. La sua carriera è circoscritta nella nostra regione e, quasi a voler anticipare Rubini, Fernando stabilisce in Puglia il set per il suo film che ha regalato gioie e nostalgie di irrecuperabili periodi. Spiace scadere nella retorica della letteratura calcistica quando si parla di giocatori “tutto polmoni, muscoli e carattere”. Il frasario calcistico annovera anche espressioni tipo “uno che non tira mai la gamba indietro”, “calciatore dal lavoro sporco” o “lascia il campo con la maglia sudata”.

Pur non trattandosi di numeri, sommiamo queste parole. Il risultato dà il Fernando da Mesagne, nobile per amor di maglia senza essere aristocratico nella pedata. Fernando impersona questa propensione, nobilitando ciò che i sedicenti esteti etichettano come “lavoro sporco”. Ma che significa “lavoro sporco”? E’ sporco rincorrere avversari, decifrarne le idee e catturare palloni? Fosse stato agli ordini di mister William Garbutt, storico allenatore del Genoa scudettato, quello che soleva ripetere:

“Se c’è qualche fuoriclasse, lo sopporterò. Altrimenti, per fare una grande squadra, mi accontenterò solo dei grandi giocatori, dal coraggio grande, dal cuore grande. Chi non dispone di queste qualità non è un grande giocatore. Neanche un mediocre. È nulla, quindi si vesta e se ne vada”.

Fernando Argentieri sarebbe stato titolare ogni domenica.

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