CRISTIANO LUPATELLI, UN DIECI TRA I PALI

Motore di irrefrenabili passioni, (ab)uso per scopi propagandistici, nei cinque continenti il calcio lo si indica con sostantivi che, nonostante la differenza idiomatica, palesano una similarità semantica. Ossia il riferimento all’uso del piede.

Ma non all’uso delle mani, prerogativa esclusiva del portiere. Principio e fine di ogni azione, relegato ad un’aristocratica solitudine, non sempre il destino concede al portiere una seconda chance per riparare ad un errore. Parando, compie l’impresa. Altrimenti è complice o responsabile di errori altrui. Dura la vita del portiere.

Un giorno un bambino nota che durante gli allenamenti i calciatori si allenano su terra battuta, mentre i portieri dispongono di uno spazio in erba. “Meglio il campo in erba..”, medita nel candore dei suoi anni. E così, più per furbesca convenienza che per passione, quel bambino, che di nome fa Cristiano, cresce ed affina una congenita capacità di interpretare il ruolo del portiere secondo i dettami del calcio moderno.

Nato a Perugia il 21 Giugno 1978, Cristiano Lupatelli cresce nelle giovanili della Fidelis Andria ed è promosso in prima squadra nella stagione 1998/99. L’addio di Papadopulo ha prefigurato uno scenario che i pessimisti (o realisti?) dipingono come di smantellamento generale. Per altri è una piccola rivoluzione. Ma se quest’ultimi trovano poco seguito, i primi vedono confermate le proprie ansie. In panca siede Roberto Morinini, gentleman svizzero la cui flemma forse mal si concilia con una piazza desiderosa di tranquillità immediate. La scelta del compianto tecnico forse si spiega anche con la storica qualificazione in Coppa UEFA conseguita sulla panchina del Lugano ai danni dell’Inter. Ed un fotogramma che lo ritrae tranquillo sull’erba di San Siro, estraniato dall’euforia generale, è indicativo dell’incompatibilità dell’elvetico con l’ambiente andriese, già scettico su un organico privato di elementi sui quali Papadopulo ha incardinato automatismi collaudati. In Puglia giungono Corradi, Florijancic, il navigato Tudisco, l’ex blucerchiato Soares, il francese Mercier, i nigeriani Bosun e Kent e l’ex reggiano Minetti.

La disfatta iniziale di Ravenna, dove i federiciani incassano un 3-0 che fa riaffiorare ancestrali inquietudini. L’atmosfera si fa plumbea al termine della serie  funesta di sconfitte e pareggi, interrotta dall’1-0 casalingo contro la Lucchese. Gol di Manca, autore l’anno prima di un pezzo di antologia calcistica proprio contro i toscani. Ma è un fuoco di paglia, ravvivato flebilmente dal rocambolesco pareggio del San Paolo, con Bellucci che in extremis risponde al gol del mai domo Manca. Poi ancora buio pesto. Finchè la dirigenza opta per un cambio di rotta e richiama un signore dal temperamento antipodico alla flemma dello svizzero e il cui curriculum annovera ciò che la piazza spera si replichi. “San Giorgio da Gemona” ricompone i cocci e ridistribuisce gli equilibri nella zona salvezza.

Le vittorie casalinghe (Ternana, Ravenna, Cremonese, Cosenza e Napoli) si alternano a successi esterni (Lucchese, Chievo e Treviso), apportando linfa vitale ad una classifica rinsecchita. Seguono passi falsi, non privi di discutibili arbitraggi (contestato 2-2 casalingo col Pescara), fino all’ultimo atto di Terni ove l’increscioso episodio che vede Rumignani colpito da un oggetto lanciato dagli spalti è il preludio ad un triste epilogo.

Tuttavia in quella stagione Lupatelli raccoglie 25 presenze da titolare, rivelandosi un portiere affidabile dalla maturità inconsueta per l’età e salvandosi dallo sfacelo generale. Attira le attenzioni della Roma e pertanto saluta la vidd d V’scègghji (Via Bisceglie) per approdare a Trigoria da vice di Antonioli. Le decisive otto presenze gli ritagliano una fetta di merito dell’ultimo scudetto giallorosso.

Contribuisce poi alla favola clivense e, in linea con la stravagante numerologia del calcio moderno, indossa un numero dieci in spalla consono a chi deve segnare gol e sfornare assistenze. Peraltro perfeziona il suo marchio di fabbrica.

In un calcio che esige di aggredire gli spazi, Lupatelli non è da meno, invertendo il rapporto che il portiere instaura con la sfera. Non è la palla ad andar verso Lupatelli. E’ lui a cercarla, ancor prima che l’avversario la calci, con uscite calcolate. Ai più attempati le sue uscite ricordano “kamikaze” Giorgio Ghezzi, il portiere della prima Coppa dei Campioni del Milan con la differenza che Ghezzi scelse di giocare in porta, dopo perentorio ordine della madre di non logorare le scarpe.

Quando invece l’azione non richiede l’uscita, Cristiano vola verso l’incrocio lontano, esibendo una spettacolarità conseguenziale allo scopo. Nonostante i postumi di un grave infortunio, si esprime su ottimi livelli anche a Firenze e Parma. Seguono Palermo, Cagliari, Bologna ed ancora Firenze. Pochi gettoni, per l’ottusa esterofilia del calcio nostrano poco propenso a scovar guantoni in patria.

Oggi Lupatelli allena i portieri della Primavera della Juventus e non lesina critiche ad una mentalità che esige il portiere pronto e non concede ai giovani il tempo di crescere e sbagliare.

Da noi ha fatto entrambi.

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