ALDO PAPAGNI, UN CARONTE PER LA SALVEZZA

“…tra color che son sospesi”. Così un attempato Virgilio descriveva  sinteticamente la sua condizione ad un Sommo Poeta vagante, quasi fosse un Alberto Angela ante litteram calatosi nell’Aldilà, tra le anime dei non battezzati e dei virtuosi vissuti prima di Cristo, lontano dalla dannazione dei gironi infernali, ma anche dalla beatitudine paradisiaca.

Ieri, come tanti italiani, mi sono sentito così, “sospeso”, in attesa di un verdetto rivelatosi poi funesto. Che sarà del calcio italico, ricco di storia e altrettanta vergogna, “lo scopriremo solo vivendo”, cantava il buon Lucio. Le premesse non erano affatto buone, e anche nel caso in cui si fosse riuscito a staccare il biglietto per Russia 2018, tutto avrebbe lasciato presagire esiti simili a quelli delle spedizioni napoleoniche ed italiane dell’ultimo conflitto mondiale. E difatti la storia dice che chi ha deciso di avventurarsi in Russia, ne è poi uscito malconcio. Nel panorama storico e/o calcistico, ricordo solo le cavalcate dell’Inter dei Moratti padre prima e poi figlio, tra le cui tappe figurava una Mosca gelida, che però non impedì alla Beneamata di aprirsi la strada verso la vittoria finale. Come al solito ci si rituffa nel passato, in quei viaggi a chilometro zero (espressione in voga ormai) che anestetizzano le tristezze del presente e accendono qualche effimero lumicino nell’oscurità del futuro.

Se l’azzurro delle “notti magiche” ti sommerge di dubbi, quello federiciano non é da meno. Anzi, mette alla prova coronarie, nervi, cervello e pazienza del tifoso andriese, stanco ed irritato da vicende che col rettangolo verde hanno poco in comune. I soliti moralisti puntino pure il loro indice, ripetendo la solita cantilena che “nella vita ci sono cose più importanti”. A questo mantra rispondo con le parole del Guru di Fusignano, che nel verde monastico di Milanello amava ripetere che “il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti’. Concordo.

Quindi quell’indice puntato quasi é un modo per rinnegare un pò il proprio passato. Le ultime vicende, pallonare e non, sembrano quasi essere state architettate dagli Dei del calcio per stabilire quanto il tifoso andriese ami i propri colori, a differenza del tifoso occasionale, facile agli entusiasmi sulla scia di due promozioni e altrettanti dignitosi campionati in LegaPro, ma poi incline all’abbandono della nave quando imbarca acqua. Quella curva meritebbe certezze, come giusta ricompensa ad una pazienza ammirevole. Quasi fossero una sorte di Giobbe biblico, destinato a sopportare privazioni al termine delle quali la sua fedeltà sarà premiata. Lungi dal voler essere blasfemo, il tifoso andriese vive costantemente in attesa di “una premiazione alla fedeltà”. Dimentica “per amor di pace”, subisce, sopporta, esulta forse nella certezza (l’unica finora..) della precarietà di quella gioia.

Questi ultimi mesi sono stati una “selva oscura”, tanto per rifarsi ancora al Sommo Poeta. Una scommessa forse azzardata, o forse no. Un allenatore emergente, preparato ma forse acerbo, non aduso alle malizie della LegaPro. Risultati così così, il cui grigiore fa da contraltare ad un gioco spesso brillante ma insopportabilmente sterile. A differenza di Dante che trova in Virgilio la sua guida, il tifoso federiciano, appena messo piede al “Degli Ulivi”, non ha mai trovato la certezza a cui affidare le proprie paure, che oserei definire ancestrali, visto un passato, peraltro non così remoto, che tanto ha sottratto all’entusiasmo della città ed agli spalti. Un quadro societario non del tutto chiaro, una palla che non vuole saperne di entrare, e se entra lo fa dalla parte sbagliata. Nel momento più…irritante? Sbagliato? O beffardo? A volte si pensa che tutto ciò sia davvero un buon banco di prova per stabilire l’autenticità del proprio attaccamento ai colori. Anzi, adopererei il termine “stress test”, tanto di moda in questo decennio di incertezza economica. Appellarsi alla sfortuna è talvolta un rimedio goffo per oscurare i fallimenti e sottrarsi ai tribunali del calcio. Ma stavolta pare davvero che la malasorte stia facendo gli straordinari. Così tanto, che i riferimenti alla letteratura, alle Sacre Scritture ed all’aneddotica calcistica sull’ importanza del “Fattore C”, si sprecherebbero. Un ex ferroviere con un importante passato nella Triade bianconera parlava di Culovic, sconosciuto calciatore che aveva l’abilità di cambiare il corso di una gara. Non grazie a capacità tecniche, bensì grazie a quelle indecifrabili alchimie che governano la sfera appena calciata, e dalle cui traiettorie dipendono le nostre gioie o frustrazioni. Sì, perchè il calcio  non è una scienza, sebben tanto si serva di essa. Tanto per citare ancora l’Arrigo nazionale, “Nel calcio conta avere occhio, pazienza e bus del cul…”. Eh già, bus de cul. Si sa, la palla è la metafora della vita, e quindi ricca di aneddoti in cui il caso viene in soccorso alla carenza di risultati, nonostante il buon gioco espresso. Il Milan di Sacchi iniziò il suo percorso verso gli onori del mondo stentando. La sconfitta casalinga contro la Fiorentina fece traballare la panchina. Solo una casuale, ma vitale, vittoria col Verona su palla inattiva e la nebbia di Belgrado un anno dopo, spianarono la strada verso la gloria.

Sono tanti i dubbi sulla eredità della gestione tecnica tecnicaspiacevolmente conclusasi. Ci si augura che la nebbia sia presto spazzata via dall’esperienza di Aldo Papagni, classica vecchia volpe della categoria. Toccherà a lui, quasi si trattasse di un Caronte dei tempi nostri (a ridaje cco’ ‘sto Dante), traghettare le anime in pena verso rive più tranquille. Toccherà a lui testare il polso della comunità andriese e farsi largo tra paure ed incertezze. Si, perché siamo una comunità di sentimenti e di intenti, sovente beffati e sull’onda dei quali si paga anche la professionalità e la dedizione di ragazzi poco piú che ventenni. Prima che vada a confessarmi, dati i troppi richiami biblici e danteschi citati, i quali non vorrei aver peccato di blasfemia, avrei voglia di incollare il discorso di Al Pacino negli spogliatoi degli Sharks. Non a scopi motivazionali, per carità. Non sono un allenatore. Tuttavia in quelle parole scorgo perfettamente la sintesi della situazione che oggi governa la Fidelis.

Sembra proprio cucita addosso.

Chissà, forse l’ha scritta proprio un andriese.

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