OSVALDO SORIANO, EL GORDO

Scrivere di calcio per raccontare l’Argentina, la vita e lo sport. Si potrebbe sintetizzare così l’opera di Osvaldo Soriano, lo scrittore sudamericano che con il suo Pensare con i piedi ha ispirato questa rubrica. Eppure, tale sintesi rischia di non cogliere appieno la complessità dell’immaginario calcistico raccontato da El Gordo, il grasso (soprannome del nostro durante tutta la sua carriera); un immaginario fatto di storie di calcio, di gol, di racconti ma anche di scrittura, di memoria, di infanzia, una immaginario dove si possono incontrare anarchici, indios mapuche assieme a Peròn e Che Guevara, un immaginario capace di segnare, con un delizioso colpo sotto, tra “i pali dell’anima” del fortunato lettore.

 

Il ritratto di Soriano non può che partire dal calcio giocato, prima ancora che da quello scritto e raccontato. Da ragazzo gioca nel Confluencia, la squadra di Cipolletti, paese fondato da un ingegnere italiano; col numero nove cucito dalla mamma sulla camiseta Soriano segna più di trenta goal in campionato e sembra destinato ad una carriera da professionista, centròfotbal non molto abile con la palla ma molto veloce, resistente negli scontri e capace di usare indifferentemente i due piedi. Magari sarebbe potuto diventare anche famoso. È lui stesso a ricordarlo: “Nel 1961 il mio allenatore, Orlando el Sucio, un mattino all’alba, mentre eravamo nella sala d’attesa di un bordello ad aspettare la gitana Natasha, mi mostrò la pagina di una rivista in cui appariva la foto di calle Corrientes all’incrocio dell’Obelisco a Buenos Aires, e mi disse: «Guarda, è qui che dobbiamo arrivare. Io ho un amico, nel Boca. Quello è il primo passo, poi il Barcelona o la Juventus». Poi, invece, l’incidente contro il Centenario, ginocchio rotto, carriera finita.

 

Per Soriano ne inizia un’altra, quella del cronista sportivo e dello scrittore: “Forse non capisco di sport quanto l’incarico richiederebbe, ma so inventare storie bellissime”; e nel suo calcio, nel suo spogliatoio, si aggirano personaggi come el Tanque Amato, el Flaco Martinez, el Gato Diaz, el Sucio Orlando, el Pelado Pescia, el Tuerto Lopez, ognuno col suo soprannome, ognuno con la sua storia. Personaggi laterali, imperfetti, antieroi che giocano una partita spesso infinita contro la vita, persi nella provincia argentina, tra bordelli e sogni improbabili, tra amori non ricambiati di donne e squadre della capitale che diventano, entrambi, miraggi destinati a rimanere inafferrabili. Personaggi che incarnano il desiderio di rivincita contro un destino impietoso.

 

Il calcio diviene metafora della “presuntuosa grandezza e dell’amara miseria” dell’Argentina. Un mondo di perdenti, ma di perdenti “vestiti con i panni del sogno” e, soprattutto, di ricordi. Il tempo che passa allontana la giovinezza piena di sogni rimasti tali e restituisce un presente in cui quei sogni mancati vengono chiamati malinconicamente “esperienze”. (Cuentos de los años felices è il memorabile titolo originario del nostro Pensare con i piedi).

 

Forse c’era tutto questo dentro le parole del vecchio allenatore di Soriano che reincontrandolo anni dopo gli aveva detto: “Lei aveva talento in area. È un peccato che sia finito così, a scrivere stupidate”.

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