UN FASTIDIO TUTTO ANDRIESE

“La grande storia mi passava davanti e io non me ne accorgevo”, recita un indolente Jep Gambardella mentre conversa coi suoi compari, squallidi protagonisti di un pluripremiato salotto romano. Dal 1992 al 1999 la storia del calcio ci passava davanti e noi non ce ne accorgevamo. Sì, perchè se il sornione bellimbusto in giacca gialla era impegnato ad inseguire gonnelle, la mente del tutt’altro che indolente tifo andriese era monopolio di una salvezza che pareva utopica, e che un friulano dai modi burberi ma genuini rese possibile. Da quella giacca roteata in panchina si ebbe l’idea che sarebbe iniziata (anzi, continuata..) un’epopea calcistica per la città federiciana. E non storcano il naso i cultori dell’arte pallonara o letteraria.

Non sono necessarie mano de dios con cui beffare chi t’ha scippato quattro scogli sperduti nell’Atlantico qualche anno addietro, o eroi omerici raminghi per il Mediterraneo con una consorte in perenne attesa, per parlare di epopee. Quella della Fidelis in serie B lo è stata. Non solo per l’idea che la serie A fosse là ad un tiro di promozione, ma anche per la possibilità di veder materializzarsi campioni non solo attraverso il tubo catodico durante i concitati zapping di stampo fantozziano della domenica sera. Poi, per noi più piccoli c’era anche quella Bibbia calciofila quale è l’album Panini.

L’epopea iniziò in un settembre caldo del 1992, sulla scia della sbornia di qualche mese prima. Un pareggio dignitoso contro la navigata Lucchese, indossando una maglia dal design innovativo, sulla quale era ricamato un simpatico esserino giallo in qualità di sponsor tecnico, soppiantando quel britannico rombo che campeggiava su altre maglie dal blasone indiscutibile. “Seee, è cumm a kerr du Peskòir, taliqquòil!!!” – come quella del Pescara, tale e quale -, era il commento compiaciuto del tifoso biancazzurro, alla ricerca di riferimenti pallonari propri di un calcio che qualche anno prima gli appariva lontano, ma di cui si sentiva ormai parte.

L’avventura in Serie B era ormai iniziata, e la suddetta sbornia era ormai stata smaltita da una serie di sconfitte e passi falsi, riconducibili ad inesperienza e forse una campagna acquisti non del tutto azzeccata.  L’entusiasmo dei tifosi era stato riportato frettolosamente in terra, e l’umore forse anche un pó più giù. La Serie B si rivelò essere davvero quella selva oscura, dalla quale ne esci solo se accompagnato da una guida che ti conduca senza smarrir la retta via. Il sommo poeta trovò la guida in un attempato Virgilio, la compagine andriese in un meno flemmatico ma altrettanto assennato Rumignani. Il guru di Gemona raccolse una Fidelis a pezzi nel morale e in classifica e che poi condusse in salvo. Ci si imbatteva in squadre che facevano l’andirivieni con la serie A, chi invece lo faceva con la C1, e chi invece ci stazionava stabilmente, quasi la seconda serie (pardon, cadetta!) fosse il loro posto fisso di zaloniana memoria.

Tra i tanti incontri in questa selva, ci si imbattè nella Spal, fresca neopromossa in Serie B all’epoca, nonchè freschissima neopromossa in Serie A oggi. Quando l’ho letto mi é salito il fastidio. Non irritazione. Non rabbia. Il fastidio. Un “andriesissimo” fastidio. Anzi, u fastèdij. Ossia quella domanda che puntualmente mi pongo ogni volta che una provinciale, barcamenatasi tra B-C1-C2,  sale in serie A. Fastidi senza risposta, come quelli causati dalle promozioni nel calcio che conta delle varie (bando all’ordine cronologico) Modena, Salernitana, Crotone, Sassuolo, Carpi, Novara. “Ma perchè non ad Andria? Perchè? Cosa ci manca?”

Ricordo bene le due gare giocate contro i ferraresi in quella dura, estenuante, formativa stagione 1992/93. Due striminziti unoazzèro che le due neopromosse si scambiarono tra andata e ritorno. Risultati che sintetizzano lo spirito con cui le due compagini affrontano la doppia sfida, desiderose di non scoprirsi troppo pur di raccogliere i cosiddetti “punti da mettere in fienile” (o in cascina? Boh!). Soprattutto mi ricordo della sfida di ritorno. La Spal, tornata nella serie cadetta dopo la strepitosa doppia promozione targata Gibi Fabbri (dalla C2 alla serie B in due stagioni), incontra la Fidelis Andria al Degli Ulivi, consapevole che sarà difficile replicare l’1-0 dell’andata. Risultato acquisito al termine di una sfida tiratissima, risolta in favore degli estensi da un giovanissimo Luca Albieri, prodotto del vivaio, che dimostra di avere piede di calciare una magistrale punizione alla Roberto Baggio dal limite. Che beffa atroce, proprio quando i pochi tifosi andriesi giunti al “Paolo Mazza” si sfregavano le mani non solo per l’uggioso novembre emiliano, ma anche per il punticino non ancora acquisito. Insomma, la classica doccia fredda che, con quel freddo, non fu proprio salutare per la classifica e l’umore del leone.

Mesi dopo, il secondo atto. La primavera si stava rivelando in tutta la sua bellezza, spazzando via le brutture di un buio girone di andata e il cambio al timone aveva giovato all’ambiente accompagnato da un inconsueto pacato ottimismo che aleggiava nei dintorni di uno stadio che esattamente un anno prima fu luogo di radioline lanciate per aria, Prime Comunioni rinviate, malori sulle gradinate ed incitamenti in un italiano approssimativo ma efficace. La salvezza pareva a portata di mano finalmente, i punticini raccolti in trasferta e le vittorie strappate coi denti e con le unghie avevano rinvigorito una classifica triste. Insomma, un leone ruggente tramutatosi in una certosina cicala: strane e piacevoli mutazioni genetiche necessarie perché l’epopea continuasse.

E continuò. Perché quella Fidelis doveva vincere. E vinse. Eppure l’11 spallino recitava così: Battara, Lancini, Paramatti, Servidei, Bonetti D., Vanoli, Ciocci, Nappi, Salvatori, Brescia, Madonna. Sì, avete letto bene. Proprio quel Paramatti, riccioluto protagonista del più bel Bologna mai visto in serie A dopo quello scudettato. Sì, proprio Servidei che avrebbe colorato di giallorosso la sua carriera tra Roma e Lecce. Sì, proprio lui, “Nippo” Nappi che durante una semifinale di Coppa UEFA tra Fiorentina e Werder Brema brevettò il suo caratteristico numero della foca, percorrendo circa 50 metri palleggiando con la testa. E che dire di Dario Bonetti, difensore di lungo corso, che solo un anno prima usciva sconfitto in terra inglese in una delle più tristi serate che il calcio peninsulare ricordi, e che in carriera ha onorato la sua fama di difensore ruvido vecchio stampo alla corte di Liedholm e di Zoff, con parentesi in un presacchiano Milan. Eppoi ancora, Salvatori, l’ex Bari Soda e Madonna (vecchia gloria di Lazio e Atalanta).

Ma, dicevamo, la grande storia ci passava davanti e noi non ce ne accorgevamo. Sì, perché “N’amà salvè” – ci dobbiamo salvare. Cosa volete che gli importi all’andriese dei trascorsi degli avversari, quali casacche abbiano bagnato col loro sudore, sotto quali prestigiose tribune abbiano corso e sgomitato? La Fidelis risponde con una formazione meno blasonata, eccezion fatta per l’ex cagliaritano Nardini, protagonista del ritorno degli insulari nel calcio che conta, sotto la sapiente guida di “er Fettìna” Claudio Ranieri. Proprio Nardini al 30esimo buca la porta difesa di Battara. Ciò che ricordo, più del gol, è l’incontenibile esultanza che ne seguì. Un urlo liberatorio come un novello Tardelli, meno decorato ma ugualmente esplosivo nell’urlo. Quando si dice “d’ora in poi ogni partita sarà una finale”. Quella lo era. E’ in quei momenti che capisco il senso di certe dichiarazioni che paiono fastidiosamente retoriche, frutto di stancanti banalità giornalistiche perché le colonne dei giornali vanno riempite. Ma quella era una delle finali. Perché l’epopea doveva continuare. “N’amà salvè!” – dobbiamo salvarci. Nessun Mondiale da conquistare, nessuna partita a carte in aereo sul viaggio di ritorno. Solo dei fottutissimi due punti che, nelle accesissime bagarre per la salvezza, sono oro colato, manna dal cielo, un boccata di ossigeno. Decidete voi come chiamare quei fottutissimi due punti, cosa siano stati. Insomma, quel 2 maggio del 1993 finisce 1-0. La sfida a distanza con la Spal si prolungò sino all’ultima giornata di campionato, in un estenuante testa a testa. La Spal espugnò il “Bentegodi” di Verona per 2-1 mentre proprio nel finale, la Fidelis Andria riuscì ad aver ragione su una Reggiana remissiva. Partita che suscitò qualche maligno dubbio, come di consueto in ogni finale di stagione. A tacere le malelingue ci pensò il portiere Luca Bucci, che sfoderò una prestazione super, macchiata solo dalla liberatoria, e fortemente voluta, zuccata di Vittorio Insanguine, che finalmente fece sì che quel summenzionato ottimismo avesse avuto una ragion d’essere. La permanenza in B fu garantita, in una sorta di continuum di ciò che accadde l’anno prima, stessi festeggiamenti, stessa baldoria. Quasi a volersi nuovamente immergere in quella sbornia bruscamente interrotta dalla dura realtà della serie B. Per la Spal invece iniziò un lungo cammino fatto di ardue risalite e drastiche discese agli inferi da cui sono risaliti il 13 maggio scorso sul campo della Ternana.

Nel frattempo, caro paziente lettore, hai preparato le risposte ai miei fastidi?

(Nella foto, andriesi a Ferrara 92/93)

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