I sudamericani, più precisamente gli argentini, hanno quella capacità innata di descrivere qualcuno o qualcosa con una semplice parolina che può essere un soprannome (apodos) o la descrizione di un gesto che lo identifichi. Nel calcio poi, pezzo di mondo nel quale si sentono eletti, danno il meglio etichettando ogni storia o personaggio nell’eternità del futbol.
Era il 19 dicembre 1971 e al Monumental di Buenos Aires si giocava la semifinale del campionato argentino tra Newel’s Old boys e Rosario Central ed Aldo Pedro Poy in volo come una colomba segna il gol vittoria nel derby di Rosario, il più sentito in Argentina: la palomita del Poy.
Qualcuno scrisse che se gli inglesi hanno inventato il calcio, gli italiani l’hanno messo in scena e qualche italiano al di là dell’oceano ci è finito. Sta di fatto che ogni scena, ogni fotogramma coincide con la storia che cambia. Le storie di qualcuno o di qualcosa che il calcio può permettersi di raccontare come pochi.
La storia che raccontiamo si ferma a Fano, come un’istantanea, al minuto numero 31 di quel Fano–Fidelis Andria del 4 giugno 1989, ultima giornata di campionato. Si ripete la storia a distanza di quasi trent’anni. Punizione lunga e tagliata dalla tre quarti battuta dal capitano Angelo Carpineta, la palla giunge in area amaranto dove sbuca il numero 9 che in tuffo a volo d’angelo insacca in rete. In quel momento non solo cambia la partita, ma cambia la storia di quella stagione ed ogni tifoso andriese saprà in seguito in quel momento dove si trovava e con chi. Cambia perchè ci si affacciava ad un calcio importante e che contava. Molti andriesi vissero quel momento come rivalsa di un sud che dava manodopera al ricco nord, un sud che si stacca dalla propria terra ma che quella rivalsa del pallone diede coraggio ed orgoglio.
É il goal del vantaggio che ribalta una gara cominciata male e spiana la strada verso la promozione in C1. Finirà 3-1 con una grande festa dei 5000 tifosi biancoazzurri assiepati sugli spalti dello stadio “Lello Mancini”.
Quel 9 era Giorgio Tomba un attaccante che rispecchiava perfettamente le caratteristiche del centravanti moderno. Siamo alla fine degli anni ottanta e il calcio italiano comincia a subire dei cambiamenti tattici, questi non riconducibili ad istantanee ma figli di rivoluzioni lente e provenienti spesso da laboratori di provincia. É tempo di schemi, movimenti rapidi, pressing, zona e tattica del fuorigioco.
In Italia l’esempio più eclatante é il Milan di Arrigo Sacchi, ancor prima con il suo Parma, che rompe col passato introducendo un gioco moderno e vincente. Tanto vincente.
Insieme al gioco cambiano anche i calciatori, ne subiscono la novità antropologica applicata al talento umano e quindi all’atleta. Il centravanti, per esempio, subisce un cambiamento radicale: il bomber classico, potente e forte nei contrasti, lascia spazio al modello che fa dell’agilità, l’astuzia e la precisione le sue armi migliori. Nasce il bomber furbo che segna di rapina, l’attaccante fastidioso che fa molto pressing, lesto con i movimenti senza palla e sornione che aspetta il momento giusto per colpire la difesa avversaria. Giorgio era prova di quel cambiamento.
Anche se con la Fidelis Andria segnò pochi goal (6 in due stagioni), l’attaccante di Gallarate, cresciuto nelle giovanili del Milan, entró di diritto nella storia del club con quel tuffo, quella Palomita in quel di Fano che cambió la storia della Fidelis. Istante ancora vivo nella memoria dei tifosi biancoazzurri.
Perché senza memoria l’identità svanisce.
Cofondatore del blog . Mi innamorai del calcio una sera del 20 Maggio 1992. Appassionato di sport, delle sue storie e soprattutto del pretesto con cui lo si usa per parlare di qualsiasi cosa. Ma faccio tutt’altro nella vita.